19 Marzo 2020
Il governo si affida alla tecnologia per tracciare il virus attraverso i cellulari. Gli esperti: “Va bene, purché gli utenti siano avvertiti” di Giovanni Rossi
Spaventato dal Coronavirus, il governo valuta nuovi strumenti per fermare i contagi. E dopo la lunga serie di decreti e Dpcm che hanno scandito queste settimane, ora pensa all’ipotesi di un contrattacco tecnologico. “In questa emergenza le telecomunicazioni possono aiutare la Protezione Civile, l’Istituto Superiore di Sanità, le Regioni. Siamo in grado di mettere a disposizione informazioni aggregate ricavate dai dati relativi alla mobilità dei clienti, garantendo il rispetto della normativa europea Gdpr”, spiega Asstel, l’associazione che riunisce gli operatori tlc.
Ma il governo pensa a strumenti di controllo più raffinati del mero esame delle celle telefoniche alla base dell’ultima strigliata ai cittadini lombardi per mobilità tuttora troppo elevata. Gli esempi internazionali vanno tutti in questa direzione: dalla Cina (che nell’emergenza sanitaria ha messo a frutto il controllo totale dei Big Data), agli Stati Uniti (dove l’amministrazione Trump sta discutendo con la Silicon Valley l’uso sistematico della geolocalizzazione), alla Corea del Sud, dove tutte le competenze tecnologiche del Paese sono state arruolate per frenare i contagi.
“In Corea del Sud – sottolinea Massimo Canducci, capo innovazione del gruppo Engineering – la questione è stata affrontata in modo molto pragmatico. Le immagini delle telecamere di sicurezza, le transazioni delle carte di credito, i dati di posizionamento rilevati da smartphone e automobili sono stati incrociati ed elaborati. Questo ha consentito di ridurre drasticamente le dimensioni del contagio identificando i cittadini potenzialmente infetti”.
Centinaia di sospetti positivi sono stati così rintracciati (e poi sottoposti a tampone), tuttavia al prezzo di un’anomizzazione dati tutt’altro che inappuntabile, con sgradevoli riflessi personali e sociali.
“Il fatto che una democrazia evoluta come la Corea del Sud abbia accettato questa sfida testimonia quanto l’emergenza Coronavirus stia lambendo il confine della privacy personale“, considera Giovanni Andrea Farina, fondatore di Itway, operativa nei settori dell’IT e della sicurezza informatica. Lo scenario epidemico potrebbe ispirare soluzioni forzate? “Le ipotesi di lavoro sono infinite ma necessitano tutte di una chiara esplicitazione – puntualizza Farina –. Ad esempio, non credo sarebbe uno scandalo il tracciamento degli smartphone per verificare il rispetto della quarantena nei soggetti positivi asintomatici. Poi una specifica App potrebbe verificare in diretta tutti i dati dei pazienti”.
Molte società stanno lavorando a soluzioni di questo tipo. Luca Foresti, ad del Centro medico Santagostino e partner di Ascolto onlus (che raccoglie fondi per la lotta al Covid-19), dichiara: “Stiamo effettuando gli ultimi test su una App da scaricare sui cellulari che permetterebbe alla Protezione civile di tracciare in tempo reale i movimenti delle persone positive, di avvertire chi è entrato in contatto con questi soggetti, di individuare sul nascere lo sviluppo di nuovi focolai e dettagliare geograficamente l’emergenza. Anonimato garantito“. Aspettando novità, il capo della Protezione civile Angelo Borrelli tira dritto: in questi casi “prevale sempre la salute pubblica”. “I diritti dei cittadini possono subire limitazioni anche incisive purché proporzionali a esigenze specifiche e temporalmente limitate”, conferma il Garante Privacy Antonello Soro. Big Data contro Coronavirus. Anche l’Italia ci prova.
Fonte: Quotidiano.net – Cronaca